Il latte fa male, oppure no? - FitIQ.it

Il latte fa male, oppure no?

Girovagando su internet si trovano spesso opinioni che stabiliscono in maniera certa, logica, ineccepibile e sicura, la nocività (o viceversa la salubrità) di un determinato alimento o di un gruppo alimentare, scatenando il panico immotivato o l’acquisto compulsivo di una sostanza, al fine di dare uno scossone alla testa o al portafoglio dell’utente medio. Tra tutto il marasma di alimenti, il latte è stato oggetto di controversi dibattiti, dall’utente medio di Facebook al luminare (presunto) di ricerca e, ancora oggi, la convinzione che il latte faccia male sembra essere dura a tramontare così come la convinzione che sia protettivo per diverse patologie. C’è chi beve ancora 500ml di latte vaccino per il calcio e chi invece evita anche ai propri figli di berlo, sostituendolo con tè o bevande vegetali (senza stare a scomodare i vegani che in questo discorso non entrano in merito).

 

SOMMARIO:
1. Raccomandazioni sul consumo di latte
2. Il latte è un alimento innaturale
3. Il latte acidifica il sangue
4. Chi non consuma latte ha minor prevalenza di osteoporosi
5. Il latte causa il cancro
6. Conclusioni

 


1. Raccomandazioni sul consumo di latte

Le raccomandazioni ancora attuali secondo le Linee Guida del Ministero della Salute per quanto riguarda l’assunzione di latte e derivati sono di 1-2 porzioni al giorno, che corrispondono a 125g per latte e yogurt, 100g per i formaggi freschi e 50g per formaggi stagionati e semistagionati.


Il consiglio di consumare tali porzioni è dovuto alla presenza nei prodotti latteo caseari di calcio, un minerale essenziale per l’organismo in quanto coinvolto in numerosissime funzioni biologiche (trasmissione di impulsi nervosi, contrazione muscolare, attivazione di alcuni enzimi, differenziazione cellulare, permeabilità di membrane e processi cellulari) e coinvolto di conseguenza anche nella salute del tessuto osseo, responsabile per l’appunto dello stoccaggio del calcio sotto forma di idrossiapatite come riserva in caso di necessità. Garantendo, tramite la giusta quota di calcio con gli alimenti, la preservazione del tessuto osseo e di conseguenza permettendo una prevenzione per quanto riguarda l’insorgenza dell’osteoporosi (condizione alla quale oltre al fabbisogno di calcio, contribuisce anche la presenza di attività fisica).


Una carenza può provocare diversi disturbi che vanno dalla parestesia (intorpidimento, addormentamento delle dita), crampi, scarso appetito fino a convulsioni e anomalie del battito cardiaco (chiaramente dipende dall’entità della carenza). La carenza constante di questo minerale può provocare rachitismo (se presente in età infantile) oppure orsteopenia e conseguentemente in seguito osteoporosi.


E’ abbastanza logico e semplice comprendere perché alimenti ricchi in calcio, come latte e derivati, siano consigliati dalla nutrizione ufficiale, quali fonte ottime (anche se non esclusive) del prezioso minerale calcio per rispettarne facilmente il fabbisogno medio quotidiano.
Attualmente il latte viene accusato di provocare molte cose, analizziamo le più comuni:

 


2. Il latte è una alimento innaturale

La prima affermazione che spesso viene fatta ricadere sul latte è quella di non essere un alimento naturale per l’essere umano adulto. Questa affermazione è supportata da tre tesi principali:


1) l’essere umano è il solo animale a bere il latte materno di un’altra specie e per di più da adulto
– vero, in quanto unica specie in grado di una specializzazione (scusate il gioco di parole) tale da produrre tecnologie inaccessibili alle altre, noi siamo l’unica che riesce a bere il latte materno di un’altra, sottraendolo anche al nascituro senza problemi (tralasciamo un attimo le implicazioni etiche che potrebbero, giustamente, scatenarsi). Questa bella tesi è tra le altre cose davvero spicciola se consideriamo che l’essere umano moderno oltre a bere latte vaccino, caprino ecc, si nutre di tantissimi altri alimenti che altri animali non riuscirebbero a procurarsi, a partire dai legumi, spezie velenose come aromi (vedi anice stellato ad esempio), pesci velenosi e altro ancora. Essere l’unica specie a fare qualcosa non è assolutamente indice di nocività (potrebbe, ma va dimostrato tramite causa-effetto e non tramite associazione logica), basti pensare a quante specie hanno caratteristiche uniche e ineguagliabili (dovute per lo più a processi di adattamento). Oltre tutto, il fatto di essere gli unici animali in grado di procurarci latte di altre specie non significa che altre specie, se messe nelle condizioni di procurarsi il latte con la medesima facilità, disdegnino questo alimento, basti pensare agli animali domestici e non solo, ghiotti di latte e derivati.


2) la fetta maggiore di popolazione mondiale non è in grado di digerire il lattosio (vedi deficit di beta galattosidasi) e questo conferma il fatto che non dovremmo consumarlo.
– Vero solo in parte. L’enzima utilizzato per la digestione del lattosio (il principale zucchero presente nel latte) che per l’appunto serve a scindere questo disaccaride in galattosio e glucosio per permettere poi l’assorbimento intestinale di questi due monosaccaridi si chiama Lattasi (o beta galattosidasi). In alcune popolazioni, ma anche semplicemente con la crescita, la presenza di questo enzima si riduce progressivamente in modo fisiologico. Tuttavia, le percentuali di deficit variano a seconda del contesto in cui ci troviamo. In Europa ad esempio potremmo trovarci in un range tra il 65% e 35% ma se ci spostiamo più a nord, la percentuale di popolazione in grado di produrre lattasi in età adulta aumenta esponenzialmente, verso sud invece si riduce drasticamente.

 

Cosa significa questo? Si chiama adattamento evolutivo.
Nulla di strano o innaturale, semplicemente le popolazioni che, per condizioni molto probabilmente ambientali, hanno avuto la necessità di attuare principalmente allevamento di bestiame e produzione vari derivati, si sono naturalmente selezionate in base alla capacità di produrre lattosio (e di conseguenza di avere la capacità di nutrirsi con prodotti latteo caseari) anche in età adulta.
Tutto qui.


3) il latte vaccino è un alimento diverso da quello umano e pertanto è inadatto al consumo anche in età infantile
- Questa affermazione è ovvia ma tuttavia fuorviante.
Il latte vaccino da un punto di vista nutrizionale differisce molto dal latte materno. Senza addentrarci nella parte riguardante i micronutrienti, basta dare anche uno sguardo superficiale ai macronutrienti per renderci facilmente conto che sono composti in maniera nettamente differente. Sarebbe anche opportuno considerare che il latte vaccino non è composto in “origine” come viene messo in commercio. Sia perché, come per le donne, delle variazioni sono possibili anche in base all’alimentazione della fattrice nonché alla razza, sia perché esiste una standardizzazione commerciale che avviene durante il processo produttivo.
Ad ogni modo, nello specifico:
Protidi: la quantità totale è di 10 – 11 gr/L nel latte di donna, mentre è di 35 gr/L nel latte vaccino.
Caseina: il latte vaccino ne contiene il 30%, mentre il latte materno solo il 2%.
La caseina non ha potere allergizzante, ma ha una difficile digeribilità in quanto richiede una notevole quantità di HCl per poter essere digerita (ha un elevato potere tampone).
Sieroproteine: sono le proteine del siero di latte. La quantità totale delle sieroproteine è quasi simile nei due tipi di latte (6,5 gr/L nel latte materno e 6 gr/L nel latte vaccino).
Qualitativamente sono rappresentate da α– lattoalbumina e ß – lattoferrina nel latte di donna, e α – lattoalbumina e ß – lattoglobulina nel latte vaccino.
ß – lattoglobulina: è nulla nella donna, mentre nel latte vaccino rappresenta il 50% delle sieroproteine; essa è responsabile dell’intolleranza alle proteine del latte vaccino (IPLV) perché ha potere allergizzante.
α – lattoalbumina: rappresenta l’altro 50% delle sieroproteine del latte vaccino, mentre nella donna supera il 50%. ß – lattoferrina: ha due azioni
1) Antinfettiva, perché lega il ferro all’interno dei macrofagi sottraendolo ai batteri.
2) Preventiva, nei confronti dell’anemia da carenza di ferro perché contiene ferritina.

 

Lipidi: le quantità totali sono sovrapponibili nei due tipi di latte (38 gr/L nel latte vaccino e 37 gr/L nel latte materno). Qualitativamente nel latte vaccino prevalgono gli acidi grassi saturi, mentre nel latte di donna quelli insaturi (Acido Retinico e Acido Oleico) e insaturi essenziali (Acido Linoleico, Acido Linolenico, e Acido Arachidonico). Questi ultimi sono più facilmente digeribili, più facilmente assorbibili, importanti per la mielinizzazione del SNC, per la maturità del sistema immunitario, per la sintesi delle PG e per il trofismo cutaneo.
L’Acido Retinico è utile per la maturazione della retina e del SNC.


Glucidi: sono quasi prevalentemente costituiti da lattosio (nel latte materno è 160 gr/L mentre nel latte vaccino è 40 gr/L) che viene digerito da una lattasi intestinale.
Oltre al lattosio, sono presenti alcuni oligosaccaridi in basse concentrazioni (10 gr/L nel latte di donna, 1 gr/L nel latte vaccino).

 

I glicidi hanno diverse funzioni:
1) antinfettiva;
2) facilitano l’assunzione di calcio e ferro;
3) antiallergica;
4) regolano lo sviluppo del SNC;
5) aumentano la digeribilità del latte.
Tra gli oligosaccaridi è compreso il fattore bifidogeno, dotato di attività antivirale e antibiotica soprattutto nei confronti dell’E. Coli

 

Quindi, sembrerebbe che la tesi abbia ragione. SI, peccato che nessuno consiglia il latte vaccino come sostituto del latte materno! È un alimento come un altro e non va introdotto prima dello svezzamento. Analogamente lo svezzamento avviene perché il latte materno non riesce più ad essere sufficiente, come unico alimento, per la crescita del bambino. Le due cose sono nettamente separate. Nelle raccomandazioni, il latte rientra come tutti gli alimenti nel gruppo dedicato. Prima dello svezzamento nessun alimento può sostituire il latte materno (persino le formule che diventano purtroppo indispensabili in alcuni casi sono imitazioni non perfette).

 

 

3. Il latte acidifica il sangue

Una frase molto ad effetto perché nella mentalità comune acido equivale a strano, pericoloso, non sicuro. Questa frase solitamente è corredata da tutto un discorso generale su acidificazione sistemica, problemi ad essi correlati e molti alimenti nei quali il latte è compreso.


Ma da dove nasce?
La Dieta Alcalina (o alcalinizzante) un regime alimentare formulato su un postulato che da solo è sufficiente a far crollare tutto il piano dietetico (almeno per chi ha minime conoscenze di fisiologia). Questo tipo di “dieta” si basa sulla teoria che, in relazione all’esame del pH delle urine nel momento post prandiale (dopo mangiato), una dieta a base prevalente di cibi alcalinizzanti (delle urine) possa proteggere dalle numerose malattie che affliggono il mondo contemporaneo.

 

Secondo questa teoria i cibi ricchi di fosfati (come i latticini) rilascerebbero scorie acide dopo la digestione, acidificando il sangue e costringendo quindi l’organismo a sottrarre minerali alcalini (calcio dalla ossa) per ripristinare il normale pH. Questo “gioco” si tradurrebbe poi nel tempo con una perdita di densità ossea e quindi osteoporosi.


Una storia molto interessante, non fosse che:
Nel 2011 uno studio piuttosto consistente (Milk and acid-base balance: proposed hypothesis versus scientific evidence. Fenton TR1, Lyon AW. – 2011 - ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22081694) si è prefisso di analizzare queste correlazioni.

 

Innanzitutto gli autori chiariscono che il pH delle urine non è indicativo del pH del sangue. La dieta non influisce sul pH sierico, e meno male, altrimenti considerando l’intervallo stretto di pH compatibile con la vita (6,8 e 7,8) e la facilità con cui fluttua il pH delle urine (visto che i reni producono urine acide o meno anche per mantenere il pH sierico) saremmo praticamente a rischio ogni istante.

 

Inoltre in questo studio gli autori hanno anche rilevato una cosa molto interessante, ovvero che il latte, basandosi sulla misurazione del pH nelle urine e l’escrezione successiva alla sua assunzione, rilascia scorie alcaline. Quindi, seppure la teoria dell’acidificazione fosse vera (e così non è) il latte non sarebbe comunque un contributo all’acidificazione tramite questo meccanismo.


L’abstract dello studio è a lettura libera di tutti:
“Recentemente la stampa ha rivendicato una ipotetica associazione tra il consumo di prodotti lattiero-caseari, generazione di acidi nella dieta e danni alla salute umana. Questa associazione teorica si basa sull’idea che le proteine e i fosfati nel latte e nei prodotti lattiero-caseari li rendano alimenti che producono acido, causando l’acidificazione nel corpo e promuovendo malattie della civiltà moderna. Alcuni autori hanno suggerito che i prodotti lattiero-caseari non sono salutari ma forse dannosi per la salute delle ossa, perché nei paesi con più alto consumo di prodotti lattiero-caseari si osserva una maggior incidenza di fratture e osteoporosi. Tuttavia, le prove scientifiche non supportano alcuna di queste affermazioni. Latte e prodotti lattiero-caseari non producono acido sul metabolismo né causano acidosi metabolica, il pH sistemica non è influenzato dalla dieta. Le osservazioni di maggiore assunzione prodotti lattiero-caseari nei paesi con osteoporosi diffusa non sono validi quando confrontano diversi ambienti urbani, probabilmente causati da un maggior lavoro fisico in località rurali. Il latte e altri prodotti caseari continuano ad essere una buona fonte di proteine alimentari e altre sostanze nutritive. Punti fondamentali: La misura di un pH delle urine acido non riflette acidosi metabolica o una condizione nociva per la salute. La dieta moderna, e il consumo di prodotti latteo caseari, non provoca acidosi sistemica. Diete alcaline alterano il pH delle urine, ma non cambiano il pH sistemico. L’escrezione di acido non ha un’ importante influenza del metabolismo del calcio. Il latte non produce acido. I fosfati della dieta non hanno un impatto negativo sul metabolismo del calcio, che è contrario alle ipotesi delle scorie acide.“


In conclusione quindi neppure la teoria delle scorie acide ha alcuna base scientifica e questo è stato anche analizzato in una Metanalisi del 2009 (Fhosphate decreases urine calcium and increases calcium balance: a meta-analysis of the osteoporosis acid-ash diet hypothesis.
Fenton TR1, Lyon AW, Eliasziw M, Tough SC, Hanley DA. – 2009
ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19754972) che si riferisce generalmente ai fosfati nella dieta.


Oltre tutto questo, anche l’alto introito proteico del latte è accusato di incidere sull’acidificazione del sangue. Tralasciando la fallacia della teoria acido base non credo ci sia bisogno di spendere molte parole sull’introito proteico dato dal latte. Basta dare uno sguardo alle tabelle IEO ma è una cosa che facilmente potrete vedere girando una qualsiasi bottiglia al supermercato, parliamo del 3,3%. I legumi, le uova, ovviamente le carni, il pesce, ne contengono molte di più (a parità di peso).


Tra l’altro, l’inventore della Dieta Alcalina, Robert O Young, si è praticamente laureato in un’università telematica non riconosciuta, il Clayton College of Natural Health. Basta leggere qualsiasi intervista rivoltagli e avere un minimo di conoscenza di fisiologia per rabbrividire.

 

 

4. Chi non consuma latte ha minor prevalenza di osteoporosi

Nei paesi in cui non si consuma latte la percentuale di persone con osteoporosi è bassissima o assente, ad esempio la Cina
Se si vanno a guardare i rapporti dell’International Osteoporosis Foundation la Cina si colloca anche più in alto di altri paesi in quanto a presenza di osteoporosi. Il latte non c’entra nulla. Le cause attribuibili all’aumento di osteoporosi nei paesi che un tempo erano in via di sviluppo e che invece adesso sono pienamente urbanizzati è da ricercare in mille fattori, primo su tutti l’ATTIVITA’ FISICA, che non viene mai citata ma che è uno dei modi fondamentali per prevenire l’osteoporosi e per mantenere un adeguato livello di densità ossea. Non meno importante è il tempo trascorso al sole (sempre minore), alimentazione più raffinata e sempre meno “semplice” (e quindi meno introito di vitamina D rispetto al fabbisogno), ecc.


Stesso discorso lo si può fare nei paesi dove l’osteoporosi è abbastanza alta, come quelli molto a Nord, dove, al di là della dieta, non vedono il sole per sei mesi di fila.

 


5. Il latte causa il cancro

Questa forse è una delle più spinte motivazioni che riguardano il latte che trova facile terreno nel contesto in cui viviamo, dove il cancro è la seconda causa di morte ma è percepita dalla maggior parte come primaria.


Questa volta ad essere accusate sono le IGF-1, o somatomedine, ormoni proteici prodotti dal fegato aventi effetti anabolici ovviamente nel bambino ma anche nell’adulto.
Non ci vuole molto a capire l’accostamento IGF-1 = crescita del cancro.


In realtà bisogna però stare attenti alla logica con la quale si fa questo accostamento. Le IGF-1 vengono prodotte, come tutti gli ormoni anabolici, anche in presenza di esercizio fisico. Se volessimo fare spicciole associazioni di logica il risultato sarebbe qualcosa del tipo: L’esercizio fisico aumenta le IGF-1 – le IGF-1 sono correlate al cancro – l’esercizio fisico è correlato al cancro. E ovviamente saremmo fuori strada.


Tra l’altro le IGF-1 sono molto importanti per la crescita di tutte le cellule e quelle tumorali (purtroppo) pare abbiano una maggiore espressione di recettori per le IGF-1.


Il resto dell’associazione latte/cancro viene anche dal China study che di per sé è stato più volte criticato perché è uno studio epidemiologico che ha totalmente evitato di affrontare il processo di revisione, che serve per l’appunto ad eliminare le inferenze, cioè apparenti legami causa – effetto dovuti ad associazioni puramente logiche.

 

 

6. Conclusioni

Devo evitare di bere latte?
No, se non si hanno problemi di intolleranza al lattosio, in quel caso al massimo ci si può orientare su latti senza lattosio. È un buon alimento per raggiungere facilmente le quantità di calcio raccomandate al giorno. È molto versatile ed è ricco di nutrienti.


Si può evitare di bere latte?
Si. Il calcio non è contenuto solo nel latte e nei prodotti caseari, anche in molte verdure. L’importante è fare attenzione agli anti nutrienti presenti in esse (acido fitico e ossalati).


Il latte è causa di acidificazione e malattie?
No. Non esiste alimento in grado di acidificare il pH ematico. Gli studi hanno ormai ampiamente smentito questa teoria.


Come comportarsi.
Il latte è un alimento come un altro, contiene un modesto contenuto di proteine e grassi ed è alla base degli alimenti che forniscono calcio all’organismo.

 

Se vi piace il latte, se è parte delle vostre abitudini consumatelo tranquillamente nelle porzioni raccomandate. Cercate piuttosto di comprare latte di qualità, che non sia sottoposto a processi di pastorizzazione ripetuta (tipo latte importato che subisce un doppio risanamento visti i tempi di trasporto) o addirittura di sterilizzazione (UHT ecc) che lo privano di una buona fetta di vitamine e micronutrienti termosensibili.

 

Valeria Cangiano

 


Bibliografia
Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana – LARN IV Revisione - 2012.
Distribuzione della produzione di lattasi nel mondo – GLAD Global Lactase persistence Association Database - 2018.
Milk and acid-base balance: proposed hypothesis versus scientific evidence. - Fenton TR1, Lyon AW. – 2011.
Phosphate decreases urine calcium and increases calcium balance: a meta-analysis of the osteoporosis acid-ash diet hypothesis. Fenton TR1, Lyon AW, Eliasziw M, Tough SC, Hanley DA. – 2009.
Composizione Latte – Banca Dati IEO - Istituto Europeo di Oncologia
Acid diet (high-meat protein) effects on calcium metabolism and bone health.Cao JJ1, Nielsen FH. – 2010.
wikipedia.org/wiki/Robert_O._Young#References
The Asian Audit Epidemiology, costs and burden of osteoporosis in Asia 2009.
Milk intake, circulating levels of insulin-like growth factor-I, and risk of colorectal cancer in men. Ma J1, Giovannucci E, Pollak M, Chan JM, Gaziano JM, Willett W, Stampfer MJ. – 2001.
Dietary correlates of plasma insulin-like growth factor I and insulin-like growth factor binding protein 3 concentrations. Holmes MD1, Pollak MN, Willett WC, Hankinson SE – 2002.

 

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